Così lontano
Deforestazione, agricoltura intensiva, cementificazione. Per trovare soluzioni serve uno sguardo a livello globale.

Dalla perdita della foresta pluviale più antica in Indonesia, alla più grande in Amazzonia, il fenomeno della deforestazione distrugge ecosistemi unici al mondo. Tra il 1996 e il 2005 venivano rasi al suolo quasi tre milioni di ettari di foresta amazzonica l’anno. Grazie anche alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, a partire dal biennio 2008-09, i numeri sono calati arrivando ai 750 mila ettari del 2012. Il 2013 ha però segnato una nuova ripresa della deforestazione: secondo i dati forniti dall’INPE, Agenzia Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile, nell’ultimo anno è cresciuta del 14 per cento rispetto all’anno precedente. Le cause di tale inversione di tendenza non sono chiare, ma una probabile responsabilità potrebbe essere imputata alla crescente percentuale di territorio destinato alla coltivazione e all’allevamento. Teoricamente, il recupero delle terre incolte dovrebbe bastare a incrementare la produzione agricola mondiale senza abbattere foreste secolari, ma questo risultato non potrà essere raggiunto senza pensare in maniera realmente globale. Ad esempio rivedendo le politiche agricole e le scelte alimentari dell’intero pianeta: a cosa serve che la Cina pianti alberi sul proprio territorio mentre abbatte foreste in Congo per produrre in modo intensivo un grasso alimentare di basso costo, e poco pregio per la salute, come l’olio di palma? Questo è solo uno dei tanti esempi di gestione distorta del problema.

L’agricoltura intensiva
Consuma il suolo, lo impoverisce e fa piazza pulita della biodiversità animale e vegetale. Ma della biodiversità l’uomo non può fare a meno, perché rappresenta il patrimonio genetico dell'ecosistema terra. Le coltivazioni intensive hanno selezionato poche sementi adatte per sopportare i trattamenti chimici e gli standard della produzione su larga scala. E’ noto che l'uso massiccio della chimica in agricoltura presenti diversi svantaggi: pesticidi e fertilizzanti chimici contaminano i terreni e le falde acquifere, possono lasciare residui sui cibi che finiscono nel nostro piatto e, secondo alcuni recentissimi studi, aumentano il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson tra gli addetti ai lavori.

Il commercio equo tutela le persone e i territori
L’attuale sistema di produzione, commercializzazione e consumo di dimensioni globali causa, soprattutto per le popolazioni povere del mondo, una spirale di dipendenza e di sfruttamento illimitato delle risorse naturali e umane. Esiste però una forma di commercio, ormai diffusa in Europa e negli Stati Uniti che, al contrario, promuove relazioni commerciali rispettose della dignità dei popoli e delle persone. Il commercio equo e solidale, riconoscibile in etichetta grazie a marchi che lo contraddistinguono, anziché puntare alla massimizzazione del profitto punta alla lotta allo sfruttamento e alla povertà, alla salvaguarda dei territori e delle coltivazioni tradizionali locali ed ecosostenibili.